Colpisce la condizione degli atleti russi e bielorussi che stanno prendendo parte ai Giochi Olimpici di Parigi in varie discipline. Come è noto, infatti, partecipano a titolo personale, senza esibire la loro bandiera nazionale: questo per i motivi politici collegati all’invasione dell’Ucraina da parte del loro paese di origine.
Tuttavia, questi atleti, che sotto il profilo sportivo non sono diversi da quelli di altre nazionalità, sono colpiti anche da conseguenze, diciamo accessorie, che forse potremmo definire inutilmente mortificanti.
In particolare, ad alcuni di essi che sono riusciti ad aggiudicarsi una medaglia, è stato riservato un singolare trattamento, facendo calare una sorta di velo sul loro risultato sportivo, relegandoli a una poco comprensibile invisibilità. Qualcosa che va ben oltre la determinazione politica e che finisce per colpire esclusivamente i singoli atleti.
Perché un conto è non esibire la bandiera e non ammettere l’inno nazionale, mentre altro è negare all’atleta che con sacrificio e merito raggiunge un risultato la normale visibilità che si concede a tutti gli altri.
Non c’è bisogno di appellarsi qui agli alti valori dello sport e allo spirito olimpico per comprendere che, se è un atleta è ammesso (sia pur con particolari condizioni) a una competizione, vada poi trattato come tutti gli altri. Dovrebbe, credo, bastare il buon senso.